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Immagine del redattoreIng. Alberto Scanziani

La spersonalizzazione nelle relazioni B2B: un’opportunità?

Aggiornamento: 5 ago


Durante una docenza la scorsa settimana inerente un percorso CRM per lead generation un mio cliente del settore B2B faceva notare come le relazioni con i suoi clienti si stiano progressivamente spersonalizzando.


I suoi interlocutori sono uffici acquisti e uffici tecnici di aziende multinazionali, in gran parte estere: queste organizzazioni hanno creato - soprattutto per la gestione degli acquisti - complesse piattaforme e procedure che di fatto cancellano ogni possibilità di interazione, obbligando al rispetto rigoroso delle medesime. A loro presidio vi sono figure professionali che, ancorchè preparate (sebbene a volte vi siano stagisti) spesso sono del tutto aliene al prodotto/servizio che devono acquistare.


l’elevato turnover di queste figure completa questo contesto di progressiva spersonalizzazione

Si capisce quanto sia difficile far filtrare l’insieme di valori e gli elementi differenzianti dell’azienda, i vantaggi prodotti e la convenienza di una partnership se tutto è affidato a una procedura, che ogni volta riparte da zero cancellando eventuali situazioni pregresse di virtuosismo.


Qualcuno potrebbe obiettare che un meccanismo siffatto è molto democratico: infatti esso riconduce tutti al blocco di partenza cancellando eventuali lobbying o, peggio, “pressioni” nei confronti dei decisori.


Da questo punto di vista vi è un progresso, ma la sua spersonalizzazione può rendere oggettivamente difficile la nascita di una relazione virtuosa di mutuo interesse tra le aziende.


alla fine siamo persone che desiderano comunicare con persone, non con algoritmi

Quale rimedio abbiamo contro la spersonalizzazione nel B2B?


Il mio cliente è arrivato alla conclusione che l’unico rimedio sia l’efficienza ovvero lavorare al miglioramento continuo dei processi e dei prodotti, in modo che questa identità “superi” i confini impersonali delle procedure d’acquisto. La convinzione è che l’efficienza sia un valore capace di filtrare e passare anche laddove non ci si parla (e non ci si vede).


la nuova identità deve essere l’efficienza

Se le visite non sono gradite più di tanto e le persone si succedono con frequenza nelle organizzazioni occorre pensare un modello nuovo di relazione e di comunicazione, basato sul virtuosismo aziendale in sé e meno sull’apporto della singola persona. Apporto che comunque ci deve essere all’occorrenza.


Il concetto diventa: io ci sono per te ma se non ti vuoi relazionare con me ti offro gli argomenti per costruire una relazione, se vuoi.


In questo senso il digital marketing può venirci incontro: se vi sono buone basi di contenuti, originalità e continuità di comunicazione è possibile far passare il proprio valore, unitamente a quel (poco) di personalizzazione che gli automatismi del marketing consentono.

Ciò vale tanto più quanto più dall’altra parte vi sono soggetti avvezzi a questo tipo di comunicazione.


non basta l’efficienza se non accompagnata dalla capacità di comunicarla nella forma gradita alla controparte

In questo senso forse la spersonalizzazione rappresenta una opportunità: ci obbliga a costruire un valore oggettivo, intrinseco e non basato sulla qualità delle relazioni personali. Dopotutto le persone vanno e vengono, ciò che resta sono le organizzazioni.


A volte accade di rimediare a lacune organizzative proprio grazie alla qualità delle relazioni personali: se queste vengono meno non vi è alternativa all’efficienza, pena essere surclassati dalla concorrenza.

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